Io non so chi sono… sulla via dell’Amore.

Posted by on Nov 12, 2017 in Blog

 

 

 

A volte ci crediamo migliori di altri, passiamo la giornata a criticare chi incontriamo, come se il sentirci migliori potesse farci essere migliori…
Così facendo non ci accorgiamo che la nostra intolleranza verso gli altri è dovuta alla frustrazione della nostra vita e, in fin dei conti, se ci ritroviamo a sottolineare le pecche altrui piuttosto che le nostre, non siamo poi così migliori…

Criticare è facile, Amare difficile…

Ogni volta che il nostro sguardo si volge verso l’altro, perdiamo l’occasione per riconoscerci nei nostri difetti… ma se non li riconosciamo come potremmo Amarli, Amarci?!
La nostra vita, quel dono che non abbiamo chiesto ma che non possiamo fare a meno di portare innanzi, può trasformarsi in un inferno da cui non ci si vuole staccare, ma dal quale si vorrebbe scappare.
Questo accade solo quando non ci si ferma ad ad imparare da essa, quando non si smette mai di pensare a ciò che c’è da fare, ai divertimenti e alle passioni, alle emozioni e ai problemi.

Questo accade solo se non ci si ferma a pensare a se stessi.

Sembra una cosa scontata, eppure non lo è. Il nostro pensiero è costantemente impegnato in qualcosa, che sia una relazione, il lavoro, gli impegni, i social media, internet o la televisione. Viviamo la nostra vita in un flusso automatico e continuo in cui le cose accadono per fortuna o sfortuna, i giorni passano repentini, le relazioni si cronicizzano o si spezzano… e tutto continua fra fugaci gioie e dolori.
Sono poche le volte che si rinuncia alla televisione, a un libro oppure a un cellulare, e nel silenzio ci si chiede cosa ci stia accadendo, dove stiamo andando e perché, dove vorremmo andare, quali paure stiamo vivendo, quali desideri ci animano e per quale ragione…

…Qual’è il senso di questa vita…

Molti di noi hanno smesso di cercare risposta a questa domanda già da molto tempo, raccontandosi che tutto è relativo, che forse è una domanda troppo difficile per trovare una risposta. Ma è proprio questa domanda che ci spinge ad andare oltre il continuo flusso in cui siamo immersi, al fine di un pensiero che ci stimoli a riconoscerci nella vita che stiamo vivendo.
Ogni vita parla della persona che la vive, ogni vita rischia di rimanere ingabbiata nei propri punti ciechi e mura invalicabili. Non è facile fare un passo a lato del continuo flusso di eventi in cui siamo immersi, concedersi uno spazio di silenzio in cui poter aprire una discussione su di sé, farsi le domande, rimanere di fronte alla frustrazione di non riuscire facilmente a rispondere, a volte rimanere semplicemente in una paziente attesa.

Non è facile ma questa vita è l’unica Presente possibilità che abbiamo di trovare noi stessi, quello che siamo e non abbiamo scelto di essere. Solo se riusciremo a essere quello che siamo potremmo gioire della Serenità.

Non è facile accettare i propri sbagli, le proprie difficoltà e paure, i propri dolori e le proprie vergogne.
Non è facile riconoscersi nella propria vita come attivi promotori del presente che si vive, farsi carico di se stessi e della propria responsabilità.
Non è facile decidere di lavorare su se stessi, non spinti da una necessità di perfezione, ma da un dolce Amore per le proprie imperfezioni e i propri errori.

Non abbiamo colpa per quello che siamo stati, ma siamo responsabili di ciò che siamo.

Dobbiamo scegliere di affrontarci, di trasformarci da servi a condottieri di quella mente che altro non è che uno stupendo mezzo a nostra disposizione.
E’ per questo che dobbiamo imparare ad osservarci e a chiederci: dobbiamo abituarci e aiutarci a prendere una posizione diversa nei confronti dei nostri pensieri e delle nostre emozioni.

Noi non siamo i nostri pensieri e le nostre emozioni, essi sono processi funzionali al mantenimento di un certo funzionamento psico-corporeo globale.

Noi non siamo la nostra rabbia, la nostra tristezza, la nostra eccitazione o fugace felicità, l’euforia o la svogliatezza… Queste emozioni servono semplicemente all’equilibrio in atto a ripetersi nel divenire, sono espressione di quel funzionamento che, anche se con sofferenza, ci tiene in piedi.

Noi non siamo i nostri continui pensieri su cosa è giusto e cosa sbagliato, le critiche, auto e non, le ragioni che ci sostengono come giusti, oppure sbagliati, di fronte al mondo. Ognuno di noi tesse quotidianamente, automaticamente e senza consapevolezza, la propria tela al fine di promuovere il proprio equilibrio in atto.

E’ un pò come se fossimo dentro una magnifica astronave che ha sviluppato un funzionamento autonomo che ci tiene in piedi ma non sempre ci permette di giungere dove vogliamo… e noi, senza saperlo, stessimo navigando con il pilota automatico…
E’ solo se comprendiamo questa metafora che possiamo giungere a intuire che noi, nessuno di noi, è quel funzionamento, quell’astronave, quel mente-corpo, che abita.
E’ solo se comprendiamo questa metafora che possiamo giungere a intuire ciò che non siamo e, in definitiva, ciò che siamo veramente. Quella “cosa” che chiamiamo “mente” e quella “cosa” che chiamiamo “corpo”, non solo non sono due “cose” separate, non sono nemmeno quello che crediamo siano: noi stessi.

Il sistema mente-corpo è la nostra meravigliosa astronave che ci permette di vivere questa esistenza materiale, programmata per sopravvivere nel miglior modo a lei possibile, ma anche per andare oltre esso. Questa astronave ha le sue peculiarità e unicità che all’apparenza ci rendono diversi e che legittimano la diversa concreta strada che dovremo percorrere per giungere a noi stessi.

Tali unicità però non ci rendono realmente diversi: siamo tutti Esseri Umani… e solo la consapevolezza può condurci a cogliere la Serenità del poter Liberamente essere se stessi.

Perdiamo la vita, ci ammaliamo, ci stressiamo, per raggiungere obbiettivi che ci donano una certa emozione… che poi svanisce per rinascere in un nuovo desiderio. Una delle malattie dell’umanità maggiormente in voga ai nostri tempi è il bisogno di auto-affermazione-sociale. Abbiamo bisogno di sentirci validi, di dimostrare qualcosa a noi stessi e/o agli altri, di affermarci in una società, di entrare in un cuore, di conformarci agli standard del “modello” in cui siamo evoluti. Tutto ciò è normale e non dipende da noi.

L’aria che abbiamo respirato ci ha dato forma. Sia che proviamo avversione, sia che aderiamo al “modello”, siamo espressione di esso.

Abbiamo bisogno di mostrarci, di “essere” nel virtuale, proviamo soddisfazione se raggiungiamo un certo ruolo sociale, un certo obbiettivo, se non rimaniamo single e mettiamo su famiglia. Possiamo adeguarci a questo oppure provare una certa avversione sostenendo l’opposto. Non è importante.

Quello che dipende da noi è scegliere di portare consapevolezza ove consapevolezza non vi è… e per farlo bisogna porsi nella posizione dell’umiltà di chi riconosce di non conoscersi affatto.

La conoscenza su noi stessi , il “chi ci crediamo di essere” è solo quell’identità che si è formata in noi nel nostro crescere, espressione del funzionamento in atto della nostra astronave.

Quello che è importante è poter riconoscere il vuoto, la non-consistenza che ci muove nel bisogno di affermazione e riconoscimento, nella sua avversione e in tutto quel mostrarsi e apparire che ci contorna. Dobbiamo riconoscerci nelle nostre paure, nei nostri vincoli mentali, nelle nostre debolezze e chiusure, nei nostri rapporti non soddisfacenti, nelle nostre tristezze e sconfitte.

Tutto ciò che ci accade, è la lezione da cui dobbiamo imparare qualcosa in più su di noi. Non esistono lezioni buone o lezioni cattive. Non è detto che uno stato emozionale positivo sia indicazione di una strada da seguire, o viceversa. Possiamo pensare all’anoressia, alla pedofilia, a tutte quelle situazioni di disagio che conducono l’individuo a compiere atti contro se stesso o gli altri in nome di un apparente “stare meglio”.

Tutti noi, anche se non a livelli così estremi come quelli delle cosiddette “patologie”, abbiamo delle rigidità, dei muri, che ci vincolano a vivere il mondo in un determinato modo, delle cose di cui non possiamo fare a meno, e che spesso precludono la Serenità.

Tutti noi soffriamo e dobbiamo riappropriarci di questa sofferenza se vogliamo comprenderla e superarla. Non sarà facendo finta di stare bene che supereremo le nostre difficoltà.

Amarsi significa poter mettere le mani nelle proprie ferite senza provare disgusto o colpa per come ce le siamo inferte. E’ solo prendendosi cura di esse che guariranno, e non potranno farlo se prima non ci permettiamo di accettarle e riconoscerle, accoglierle e Amarle. Non è poi così strano avere delle debolezze e dei difetti, anzi, forse è proprio la “normalità”, ed è ciò che ci rende Umani…

Criticare è facile, Amarsi difficile… ma solo la strada dell’Amore può condurre al proprio superamento e alla propria Serenità.